Le "Maschere di Ubaga" è un progetto nato da una ricognizione di Franco Dante Tiglio sull'uso della maschera come mezzo per accostarsi al mito e per evocare un mondo rurale, custode di memorie e costumi primordiali, le cui remote radici sopravvivono in nomi, toponimi, tradizioni e rituali.
In Arte la forma più diretta per riattualizzare il mito è rappresentata dalla "maschera", la quale ancor prima di essere un'opera estetica, rappresenta il mezzo per stabilire un contatto con ciò che sfugge: il tempo, le memorie, gli eventi, ma anche l'ignoto, il transumano, il soprannaturale. Con il linguaggio delle forme e dei colori e con l'ausilio dei simboli, esse evocano immagini di forze cosmiche, anche di virtù e debolezze della natura umana, che formalizzano le categorie del "bene" e del "male", aventi un'influenza fondamentale sul destino del singolo e della collettività.
Dal progetto ha preso nome l'intero sistema museale della Valle Arroscia "I volti dell'ubagu", termine che identifica nell'idioma ligure pre-latino di "ubagu" località impervie, esposte a settentrione e inospitali, come lo sono le località dello scosceso versante destro della Valle Arroscia.